Il divieto di licenziamenti nel periodo di emergenza Covid

Il divieto di licenziamenti nel periodo di emergenza Covid

Il c.d. Decreto Rilancio (art. 80 D.L. 19 maggio 2020 n. 34) ha esteso fino al 17 agosto 2020 il divieto di effettuare licenziamenti introdotto a partire dal 17 marzo 2020 dal c.d. Decreto Cura Italia (decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18  convertito con modifiche dalla legge 24 aprile 2020 n. 27).

Va preliminarmente evidenziato il disallineamento cronologico tra la fine del divieto di effettuare licenziamenti (17 agosto) e gli speciali ammortizzatori sociali ‘covid’, prorogati dal ‘decreto rilancio’ per altre cinque settimane, fino a metà giugno, con la possibilità di fruire di ulteriori 4 settimane ma solo a settembre. Questo comporta che le imprese, se non potranno riaprire tutte le attività, dovranno gestire una fase intermedia ricorrendo a diverse soluzioni.

Illustriamo brevemente i contenuti e limiti di questo divieto di licenziamento del tutto eccezionale (basti pensare che per rintracciare nel nostro ordinamento un analogo divieto occorre risale al 1945).

E’ vietato per tutti i datori di lavoro, indipendentemente dal numero di dipendenti, effettuare licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, basati quindi su motivi economici (relativi a “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”, art. 3 legge n. 604 del 1966).

Nel ‘decreto rilancio’ è stato precisato che nello stesso periodo sono altresì sospese le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo avviate prima del 17 marzo ed in corso innanzi all’Ispettorato Territoriale del lavoro ai sensi dell’articolo 7 legge 15 luglio 1966, n. 604 (tentativo obbligatorio di conciliazione). Le procedure, che erano di fatto già bloccate, potranno riprendere solo dal 18 agosto.

Sono invece ammessi i licenziamenti che non richiedono una specifica motivazione (c.d. licenziamenti ad nutum). Possono quindi essere licenziati i lavoratori domestici, i lavoratori in prova e gli apprendisti all’avvenuto compimento del periodo formativo. Per lo stesso motivo è ammesso il licenziamento dei dirigenti, ai quali non si applica la legge n. 604 del 1966.

Il licenziamento per superamento del periodo di comporto è considerato un motivo a sé e va considerato escluso dal divieto.

Sembra invece rientrare nel divieto il licenziamento per impossibilità sopravvenuta del lavoratore a rendere la prestazione, che presupponendo l’impossibilità di adibizione ad altre mansioni è riconducibile ai licenziamenti per motivi organizzativi.

Sono ovviamente consentiti anche i licenziamenti di carattere disciplinare per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, ossia quelli che si fondano su condotte disciplinarmente rilevanti poste in essere dal lavoratore.

Fino al 17 agosto è vietato l’avvio di nuove procedure di licenziamento collettivo e sono sospese le procedure avviate tra il 23 febbraio ed il 16 marzo 2020. Resta quindi possibile portare a compimento solo le procedure avviate prima del 23 febbraio.

Le procedure vietate sono quelle di cui agli articoli 4 e 24 legge n. 223/1991 e riguardano operai, impiegati e quadri ma anche i dirigenti (art. 16 legge 161/2014).

Il divieto di licenziamento collettivo non opera nelle ipotesi in cui il personale interessato dal recesso e già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito del subentro di un nuovo appaltatore, per effetto di un obbligo (c.d. clausole sociali a tutela dei lavoratori nei passaggi di appalto).

Per quanto riguarda le procedure già avviate e non concluse, sia di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo che di licenziamento collettivo, i lavoratori interessati devono considerarsi ancora in forza, con costi a carico del datore di lavoro. Pertanto, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere agli stessi la retribuzione, oppure a ricorrere agli ammortizzatori sociali.

Eventuali licenziamenti intimati per motivi oggettivi in pendenza del divieto sono illegittimi, anzi potrebbero essere considerati nulli per contrasto con la norma imperativa che li vieta, con pesanti conseguenze a carico del datore di lavoro anche se piccolo e sotto i 15 dipendenti.

Il datore di lavoro in tal caso dovrebbe valutare attentamente la possibilità di revocare il licenziamento nei 15 giorni dalla ricezione della impugnazione stragiudiziale da parte del lavoratore, come espressamente previsto dall’art. 18 comma 10 l.n. 300/70 nonché dall’art. 5 del D.lgs. 23/2015 per i lavoratori rientranti nel regime delle c.d. tutele crescenti.

La ritardata pubblicazione del ‘decreto rilancio’ in Gazzetta Ufficiale, avvenuta solo il 19 maggio 2020, ha creato un vuoto normativo per i giorni intercorrenti fra lo spirare dell’efficacia del termine di 60 giorni previsto nel decreto Cura Italia (17 maggio) e la data (19 maggio) di entrata in vigore dell’estensione del divieto di licenziamento da 60 a giorni a “cinque mesi”

Nel breve periodo non coperto dall’estensione del divieto, possano considerarsi efficaci i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo intimati - con lettera pervenuta al lavoratore - da datori di lavoro non vincolati a procedure (con meno di 15 dipendenti nell’unità produttiva o meno di 60 sul territorio nazionale, nonché i licenziamenti intimati nei confronti di lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi, indipendentemente dal numero dei dipendenti del datore di lavoro).

Con riferimento invece ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo sottoposti alla procedura ex art. 7 l. 604/1966, nonché ai licenziamenti collettivi, di fatto non cambia nulla perché anche qualora nel breve vuoto normativo si fosse avviata la relativa procedura, la stessa rimarrebbe comunque sospesa dall’entrata in vigore del ‘decreto rilancio’ fino alla scadenza del termine ivi fissato.

Infine, è stata inserita nel ‘decreto rilancio’ una controversa previsione che consente al datore di lavoro che - prima dell’entrata in vigore del divieto, nel periodo dal 23 febbraio 2020 al 17 marzo 2020 - abbia proceduto al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, di revocare in ogni tempo il licenziamento stesso, anche dopo i 15 giorni, purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale in deroga, con decorrenza dalla data di efficacia del licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro.

Non è chiaro se l’esclusione di oneri e sanzioni per il datore di lavoro vale anche per la revoca di licenziamenti intimati dopo l’entrata in vigore del divieto.


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