L'art. 4 Stat. Lav. e i controlli difensivi nella più recente giurisprudenza

L'art. 4 Stat. Lav. e i controlli difensivi nella più recente giurisprudenza

La giurisprudenza continua ad interrogarsi sul perimetro di applicazione dell'articolo 4 legge n. 300/1970 come modificato dal d.lgs. 151/2015.

 

E' noto che nel 2015 la tutela del patrimonio aziendale è stata espressamente introdotta tra le finalità che permettono l'uso di strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controlli a distanza dell'attività dei lavoratori. Con la conseguente necessità del datore di lavoro di premunirsi del preventivo accordo sindacale o dell'autorizzazione dell'Ispettorato del lavoro (primo comma art. 4) e di dare adeguata informazione ai lavoratori (terzo comma art. 4).

 

Dopo il 2015 ci si è interrogati circa l'impatto della nuova normativa sui controlli c.d. difensivi, cioè quelli posti in essere dal datore di lavoro non già per verificare l'adempimento dell'obbligazione lavorativa, ma per accertare la commissione di illeciti lesivi del patrimonio o dell'immagine aziendale, che erano generalmente considerati non rientranti nel perimetro di applicazione del previgente art. 4.

 

Sul punto nel 2021 è intervenuta la Corte di Cassazione (le note sentenze 22 settembre 2021 n. 25731 e n. 25732, pres. ed estensore dr. Raimondi; riprese da Cass. 34092/21) la quale ha ritenuto estranei all'area applicativa dell'art. 4 stat. lav. non i controlli riguardanti la generalità dei lavoratori ma solo i controlli "in senso stretto, diretti ad accertare specificamente condotte illecite ascrivibili - in base a concreti indizi - a singoli dipendenti, anche se questo si verifica durante la prestazione di lavoro" (punti 31-32). Fin qui nulla di nuovo. La Cassazione ha però sottolineato la necessità che i controlli datoriali tutelino dignità e riservatezza del lavoratore (punti 36 ss.) e siano attuati ex post ossia a seguito del comportamento illecito, concludendo che può parlarsi di controlli ex post "solo ove, a seguito del fondato sospetto…, il datore di lavoro provveda da quel momento alla raccolta delle informazioni" (punto 44).

 

La posizione espressa della Corte di Cassazione, che da una parte ammette i controlli difensivi ma li ha limitati ai dati "raccolti" dopo l'insorgere del sospetto, ha destato numerose perplessità.

 

Nella scia di queste perplessità si inserisce una recentissima pronuncia del Tribunale di Lecco (sentenza 6 giugno 2023 n. 59, est. dott.ssa Trovò) nella quale si osserva che "la previsione di un tale discrimine temporale, rispetto all’oggetto della verifica datoriale, è foriera di complicazioni sotto il profilo applicativo: se è comprensibile la regola per cui la verifica possa avvenire solo in dipendenza di un serio sospetto di attività illecita del lavoratore, non altrettanto lo è la ragione per cui tale verifica dovrebbe poi essere limitata ai soli dati registrati successivamente all’insorgere del sospetto e quindi sostanzialmente all’attività successiva del lavoratore. In tal modo infatti si preclude al datore di lavoro ogni attività di verifica rispetto al passato, anche laddove il lavoratore abbia commesso gravi illeciti (magari già consumati e quindi non più passibili di verifica sui dati registrati successivamente), in danno del datore di lavoro, od addirittura di terzi e si fa altresì propendere il bilanciamento degli opposti interessi tutto dalla parte della dignità e della riservatezza del lavoratore, proprio quando tali interessi dovrebbero essere recessivi, in ragione del probabile comportamento illecito del dipendente". "Sulla base di quanto argomentato dai giudici di legittimità, il discrimine parrebbe necessario per non legittimare un’arbitraria attività di controllo del datore di lavoro, tramite strumenti utilizzati in difetto dei presupposti stabiliti dall’art. 4 St. Lav.: così ragionando tuttavia si finisce con lo smentire la premessa da cui si è partiti, ossia che i “controlli difensivi in senso stretto (…) si situino, anche oggi, all’esterno del perimetro applicativo dell’art. 4” (sent. Cass. 25732/2021)"

 

Infatti il sistema italiano, e non solo, si basa sul bilanciamento di diversi interessi tra cui vanno anche annoverati:

1) l'esigenza di "protezione dei diritti altrui" (art. 8 cedu), richiamato anche al par. 38 delle note sentenze 25731 e n. 25732/2021;

2) l'esigenza di accertamento e poi esercizio di un diritto in sede giudiziaria (gdpr, art. 17, 18 e 21; art. 24 d.lgs. 196/2003; e anche c.d. codice di deontologia per le investigazioni).

 

I limiti fissati dalle sentenze della Corte di Cassazione sopra richiamate - nel diabolico incrocio di privacy e controlli solo su dati raccolti successivamente all'insorgere del sospetto - di fatto sembrano invece impedire un qualsiasi ragionevole bilanciamento di interessi. La tesi in astratto (e banalizzando) è analoga a quella che secondo cui un ladro non può essere identificato se prima non gli ho detto che potrei identificarlo.

 

Anche la più recente giurisprudenza di merito sembra nella sostanza ammettere tout court i controlli difensivi senza dissertare di 'categorie' quali i controlli difensivi in senso lato o in senso stretto limitati ai soli dati raccolti dopo l'insorgere del sospetto.

Si richiamato ad esempio la Corte d'Appello Roma 17/01/2022 n. 17 ("è sempre possibile per il datore di lavoro utilizzare le riprese di comportamenti illeciti dei propri dipendenti, al pari di quelli di qualsiasi altro soggetto estraneo all'impresa"), Trib. Roma 21 aprile 2022 n. 3604 ("non risponde al alcun criterio logico-sistematico garantire al lavoratore - in presenza di condotte illecite sanzionabili penalmente … - una tutela della sua 'persona' maggiore di quella riconosciuta ai terzi estranei all'impresa") e Trib. Novara 7 giugno 2022 n. 131 (ammette indagine dopo sospetto ma anche su file anteriori).

Si segnala per completezza anche Trib. Genova 14 dicembre 2021 che conclude per l'illegittimità dei controlli ricalcando in motivazione gli argomenti della Corte di Cassazione, ma si trattava di un caso ai limiti della fattispecie dei classici controlli difensivi (era stato effettuato un "controllo a tappeto" "alla ricerca negli anni di un comportamento anomalo fra i dipendenti").

 

La sentenza Trib. Lecco n. 59/2023 sopra citata osserva poi che il rinvenimento di una cartella in locale nel PC del lavoratore durante un’ordinaria attività di manutenzione legata all’aggiornamento del software antivirus "non necessita di essere vagliata secondo i principi che governano i controlli difensivi, non trattandosi di una verifica che implica un controllo a distanza attraverso dati registrati, che abbiano monitorato l’attività del lavoratore, bensì di una semplice scoperta di un documento archiviato nel PC, come potrebbe esserlo una cartella contenuta nell’archivio cartaceo di un ufficio amministrativo o più semplicemente una cartella appoggiata sulla scrivania del lavoratore".

 

Nel bel mezzo della quarta rivoluzione industriale, quella dell’industria 4.0 con la tecnologia smart ed il rallentamento della produzione di massa a favore di prodotti personalizzati, i giuslavoristi avranno ancora molte occasioni di riflettere e confrontarsi su questi temi.

 


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